Storia del latte

L’arte casearia si basa da sempre su pochi elementi di base: latte, caglio, calore, sale. Parrebbe che l’invenzione del formaggio si debba ai pastori che circa 18 mila anni fa popolavano la Mesopotamia. 

La storia della trasformazione del latte e del formaggio ha origine dall’antichità, ma acquista spessore solo a partire dal Medioevo. A lungo ritenuti cibo da poveri, a partire dalla seconda metà del Trecento i prodotti caseari entrano a far parte dei piaceri della tavola.

Si citano, a tal proposito, scoperte storiche in cui si fa riferimento il tentativo di addomesticare animali da latte (già a partire da 8000 anni fa in Mesopotamia) con il probabile intento di utilizzarlo come alimento.

  • Al ritrovamento, in Sicilia e più precisamente a Troina, di una delle più antiche aziende agricole mediterranee risalente al periodo dell’età del Rame (6000 anni fa).
  • Al ritrovamento, a Piadena (Cremona) di un colino di terracotta risalente a 3500 anni fa che, con molta probabilità, lo si utilizzava per lo sgrondo della cagliata.

Non è ancora chiaro come l’uomo sia riuscito a scoprire la cagliata e, di conseguenza, a produrre formaggio. Sono nate diverse leggende, citiamo quella che sembra essere la più nota, cioè quella di un mercante arabo che, dovendo attraversare il deserto, portò con sé alcuni alimenti. Il mercante mise del latte in una sacca fatta con lo stomaco essiccato di una pecora.

Il movimento del viaggio, il caldo e gli enzimi rimasti sulla parete dello stomaco della pecora avrebbero acidificato il latte e coagulato le proteine presenti al suo interno in piccoli grumi. Sarebbe nata così la cagliata.

Anche la mitologia greca si è occupata della scoperta del formaggio, attribuendola alle Ninfe, le quali avrebbero insegnato ad Aristeo, figlio di Apollo, l’arte di cagliare e trasformare il latte.

E’ comunque, verosimile che la scoperta del formaggio sia stata effettivamente casuale e legata al tentativo di trasportare e conservare più a lungo il latte.

Ricordiamo che il latte consumato dai nostri antenati era prevalentemente di capra, di pecora, di asina e solo grazie ai Romani, che ebbero un ruolo di fondamentale importanza nella storia del latte, fu introdotto il latte bovino, perfezionando, inoltre, anche le tecniche di lavorazione dei suoi derivati e diffondendole, tramite l’Impero, nel nord Italia, in Gallia, in Germania e in Inghilterra. Dalla scoperta e quindi dal consumo delle bevande a base di latte acidificato prende vita la storia della produzione dei latticini.

Latte e derivati, a dimostrazione della loro essenziale funzione, costituiscono da soli uno dei 7 gruppi di alimenti che devono essere sempre presenti in una dieta completa e bilanciata. Il latte garantisce inoltre un ottimo apporto di calcio sia nei bambini sia negli adolescenti, che di questo elemento necessitano per la formazione di ossa e denti e nel caso degli anziani, in particolare delle donne, per prevenire la progressiva decalcificazione delle ossa. Il calcio rappresenta un nutriente essenziale ed è implicato anche nella conduzione degli impulsi nervosi, nella contrazione dei muscoli, nella coagulazione del sangue, nella permeabilità delle cellule ecc. Rispetto alle fonti vegetali (cereali in particolare), il calcio contenuto nel latte e nei formaggi, probabilmente per la presenza della caseina e del lattosio, è più facilmente utilizzabile (biodisponibile) per il nostro organismo. Inoltre, nel latte è importante il rapporto tra il contenuto di calcio e quello di fosforo che risulta superiore all’unità. La componente lipidica del latte, estremamente complessa, è costituita per il 98% da trigliceridi contenenti acidi grassi saturi e insaturi a catena lunga e da acidi grassi saturi a catena media e corta. 

Trattamenti: Attualmente sono disponibili il latte intero, con contenuto in grassi non inferiore al 3,2% (3,5% per il latte di alta qualità, che può essere messo in commercio solo intero), parzialmente scremato, con contenuto in grassi non inferiore all’1,5% e non superiore all’1,8% e scremato con contenuto in grassi non superiore allo 0,3%. La l. 3 maggio 1989, nr. 169, e i successivi decreti di applicazione hanno aggiornato le norme precedenti sulla disciplina della produzione, del trattamento e della commercializzazione del latte alimentare. La vendita di latte crudo è permessa solo dal produttore al consumatore e nell’azienda agricola di produzione. Data la possibilità che siano presenti microrganismi patogeni, provenienti dall’animale o dall’ambiente di raccolta o dalle manipolazioni del consumatore, il latte crudo deve essere bollito prima del consumo. Questo trattamento casalingo richiede però qualche accortezza: quando il latte forma la pellicola superficiale e tende a fuoriuscire dal recipiente, la temperatura non supera in realtà gli 80 °C e quindi non garantisce la completa sterilizzazione dell’alimento. È allora opportuno abbassare la fiamma, quindi rompere la pellicola, costituita da albumine coagulate, e continuare il riscaldamento fino a raggiungere una leggera ebollizione. Direttamente utilizzabile è, invece, il prodotto commerciale già sottoposto industrialmente ai trattamenti termici di risanamento. Fra i trattamenti termici industriali ammessi per il latte alimentare destinato al consumo umano diretto, la l. 169/89 prevede l’impiego della pastorizzazione e della sterilizzazione. 
La pastorizzazione (HTST, High temperature short time) rappresenta un trattamento termico blando, 15 s a 72 °C, finalizzato alla distruzione dei microrganismi patogeni eventualmente presenti, che produce però solo minime modifiche delle caratteristiche della materia prima. In particolare, il latte pastorizzato deve presentare una reazione negativa alla prova della fosfatasi e positiva alla prova della perossidasi. Questi due test analitici, previsti dalla legge, consentono di verificare la correttezza e l’efficacia del trattamento. Il termine di consumazione del latte dopo la pastorizzazione non può superare, per legge, i 4 giorni successivi a quello di confezionamento, e deve essere riportato in modo visibile sulla confezione. I prodotti derivati da questo trattamento sono: il latte pastorizzato, il fresco pastorizzato e il fresco pastorizzato di alta qualità. Per quest’ultimo si richiede una materia prima più pregiata sia nella composizione (3,5% di materia grassa e 32 g/l di proteine, contro il 3,2% e i 28 g/l, rispettivamente, degli altri latti), sia nelle caratteristiche igienico-sanitarie (limite massimo di 100.000 germi/ml e di 300.000 cellule somatiche). Il termine fresco implica invece un tempo ridotto (massimo 48 ore) tra mungitura e trattamento di pastorizzazione. Un recente decreto (d.p.r. 54/97), riguardante il regolamento di attuazione delle direttive CEE nr. 92/46 e 92/47 in materia di produzione e immissione sul mercato di latte e di prodotti a base di latte, ha anche introdotto una nuova categoria merceologica che può presentare reazione negativa alla perossidasi, purché sulla confezione di vendita risulti con chiarezza l’indicazione ‘latte pastorizzato a temperatura elevata’. 
La sterilizzazione è un trattamento termico drastico, a temperatura nettamente superiore a quella di ebollizione (115-135 °C) che, per la totale distruzione della microflora contenuta nel latte, ne assicura una lunga conservazione. La sterilizzazione può anche avvenire (direttiva CEE nr. 92/46) con un unico trattamento termico di breve durata (almeno 1 s), ma a temperatura particolarmente alta (almeno 135 °C; uperizzazione), e il prodotto che ne deriva viene per questo chiamato latte UHT (Ultra-high temperature). Il latte così trattato viene raccolto in confezioni asettiche, costituite da cartone rivestito internamente di alluminio e politene, indispensabili per evitare che il prodotto si saturi di ossigeno acquistando in breve tempo sapore di cotto. Il latte UHT non richiede, a differenza del latte pastorizzato, una distribuzione in catena del freddo, cioè in ambiente refrigerato durante tutte le fasi dalla produzione al consumo, ed è caratterizzato, grazie al progressivo perfezionamento della tecnologia di produzione, da un accettabile profilo organolettico e nutrizionale. È un prodotto a lunga conservazione (90 giorni) che per la sua ridotta deperibilità arriva a toccare mercati non raggiungibili da quello fresco. 
Una più lunga conservabilità (180 giorni) viene ottenuta con una sterilizzazione a 115-135 °C per 15-20 minuti in contenitore sigillato, normalmente di vetro. Si parla in questo caso di latte sterilizzato a lunga conservazione, prodotto meno pregiato, per caratteristiche organolettiche e nutrizionali, dell’UHT. Da notare che entrambi i tipi di latte, una volta aperto il contenitore, devono essere conservati in frigorifero e consumati entro un paio di giorni. 
Altro metodo di conservazione consiste nella preparazione di latte ‘concentrato’, che può essere evaporato, se solo concentrato e sterilizzato, oppure condensato, se concentrato e zuccherato. In questo secondo caso la sterilizzazione non è necessaria, in quanto è la presenza di zucchero (18%) a impedire la crescita dei microrganismi. Il procedimento più diffuso per ottenere prodotto ‘in polvere’ è invece quello dell’essiccamento a spruzzo, che consiste nell’evaporazione istantanea dell’acqua in torri di essiccamento nelle quali il latte è iniettato in forma di minute goccioline. Il prodotto così ottenuto può essere intero, parzialmente scremato o scremato, è ricostituibile con l’acqua; si conserva facilmente, in quanto il contenuto residuo di acqua, inferiore al 6%, non è sufficiente per la proliferazione dei microrganismi. 
Il latte condensato e quello in polvere sono destinati per oltre il 50% all’industria dolciaria, mentre il consumo nell’ambito familiare è minimo e indirizzato, più che alla ricostituzione del latte liquido, all’impiego nella preparazione dei dolci. Il mercato attuale propone anche i cosiddetti latti speciali: aromatizzati (per es., a base di frutta, miele, cioccolato ecc.), addizionati di fermenti vivi (bifidus e acidophilus), dietetici (con vitamine, sali minerali, proteine), ad alta digeribilità (latte delattosato). I latti speciali sono quindi migliorati sia nel gusto sia nelle caratteristiche nutritive e dietetiche.